La riforma di Benedetto XV

La riforma di Benedetto XV (1915)

La riforma, approvata il 10 dicembre 1915 e in vigore dal 12 gennaio 1916, fu voluta da Benedetto XV (1914-1922) per rafforzare l’unitarietà dell’associazione e darle maggiore efficacia d’azione intuendo la necessità di accentuarne il carattere religioso per distinguerla da altri tipi di iniziative.

La struttura viene rafforzata con la creazione di un vertice di coordinamento dei vari rami.
Restano le tre Unioni, ma tutto si basa su due strutture portanti:

  • l’Unione Popolare al vertice;
  • la Giunta diocesana in periferia.
Benedetto XV
Benedetto XV

Al presidente dell’Unione Popolare spetta la presidenza della Giunta direttiva, che è affiancata da un Consiglio Generale.

Nel 1920 vengono istitutuiti i Consigli parrocchiali dell’ACI formati dai presidenti di tutte le Associazioni e Opere apostoliche della parrocchia. Questa modifica salda ulteriormente l’AC alla base popolare delle parrocchie.

Ecco la composizione della prima Giunta direttiva eletta dal Consiglio Direttivo dell’Unione Popolare a Roma il 23 marzo 1915:

 

  • Giuseppe Dalla Torre, presidente dell’Unione Popolare
  • Stanisalo Medolago Albani, presidente dell’Unione Economico Sociale
  • Ottorino Gentiloni, presidente dell’Unione Elettorale
  • Paolo Pericoli, presidente della Società della Gioventù Cattolica
  • altri sei eletti tra cui don Luigi Sturzo con le funzioni di segretario Lo stesso Benedetto XV parlava di quest’esigenza: mettere l’Ac «oltre e al di sopra di ogni problema di ordine puramente materiale e politico».
 

Se fino ad allora, per indicare l'azione della Chiesa e del laicato nella socieà italiana, si era parlato genericamente di «movimento cattolico» (con le inevitabili confusioni tra sfera politica e sfera religiosa), i tempi erano ormai maturi per iniziare a distinguere tra «Azione cattolica» e «azione dei cattolici».

La creazione di un sindacato e di un partito, che organizzavano sotto la loro esclusiva responsabilità i cattolici sul terreno sociale, liberò il cattolicesimo organizzato da ogni altra preoccupazione che non fosse quella dell'animazione religiosa della società.

Lo stesso Benedetto XV parlava di quest'esigenza: mettere l'Ac «oltre e al di sopra di ogni problema di ordine puramente materiale e politico».

L'evolvere dei fatti metteva in discussione il ruolo e la stessa esistenza dell'Unione economico-sociale e dell'Unione elettorale che furono abolite nella successiva riforma voluta da Pio XI nel 1923.

Il moltiplicarsi dei sindacati “bianchi” (erano chiamati così quegli promossi dai cattolici, in opposizione ai sindacati “rossi” di matrice socialista) portò nel 1918 alla creazione della Confederazione Italiana del Lavoro (CIL), una struttura centralizzata, sul modello della Confederazione Generale del Lavoro (1906).

Più tardi, nel 1919, su iniziativa di don Luigi Sturzo, nasceva il Partito Popolare Italiano: aconfessionale e democratico, era per i cattolici la prima esperienza di partito, lo strumento principale della loro azione politica che li rendeva protagonisti nella scena politica italiana.
Su posizioni più conservatrici era il movimento femminile che si sviluppò a Roma. In polemica col femminismo, pervaso da forti spinte anticlericali, si batteva per gli ideali legati alla tradizionale visione cristiana della donna. La sua azione, se rassicurava il Papa, coinvolse per lo più donne dell’aristocrazia come la stessa Maria C. Giustiniani Bandini.